giovedì 5 novembre 2020

Calabria zona rossa. Aldo Pecora scrive al premier, Giuseppe Conte.

 


Nello scritto che segue, il collega Aldo Pecora, traccia in maniera lucida e coerente la situazione di una terra, troppe volte martoriata che merita di rinascere con il contributo di menti oneste e preparate.

In una lettera, inviata al premier, Giuseppe Conte, e postata sul suo sito aldopecora.it, il giovane mette in luce “chi da dieci anni doveva “aggiustare” la sanità calabrese, e non ha fatto nulla”.

“Gentile Presidente del Consiglio, le scrivo questa lettera aperta perché ho il dovere professionale (da giornalista) prima ancora che morale (da calabrese) di lasciare una traccia, nero su bianco, alla luce della “chiusura” totale della Calabria (al pari della Lombardia, del Piemonte e della Valle d’Aosta) decisa oggi dal suo Governo. Un atto dietro il quale ci sono delle precise responsabilità, e più o meno direttamente anche sue.

 È vero: nonostante poche eccellenze la sanità pubblica calabrese è tra le peggiori in Italia, purtroppo. E non verrò qui a contestarle i criteri e gli indicatori secondo i quali lei ed i suoi tecnici avete stabilito che la regione che nonostante le sue colpe ed inefficienze croniche registri il più basso tasso di ricoverati in Europa (ad oggi 212 sono i calabresi ricoverati con sintomi, dei quali 11 in terapia intensiva, secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute) sia pericolosa al pari dei cinquemila errotti pazienti ricoverati in Lombardia, così come i mille e cinquecento ricoveri evidentemente non bastano per inserire la Campania tra le regioni di massima allerta.

Lei avrà avuto delle buone ragioni. Io pur non comprendendone pienamente la ratio non posso che registrare almeno un paio di infauste circostanze che molto probabilmente le avranno reso più agevole l’emanazione di un provvedimento restrittivo di tale portata: ovvero, la prematura scomparsa del capo del governo regionale, che pone la politica calabrese in condizione di “debolezza” rispetto altre regioni a noi geograficamente contigue, che unita alla gestione della farraginosa macchina della sanità regionale rendeva la Calabria facile agnello sacrificale.

Sono convinto che il suo governo abbia agito per il bene dei calabresi, e questo nuovo lockdown ci servirà, perché ad onor del vero le misure di contenimento dei contagi non sono state sempre rispettate dalla popolazione.

 Mi limito, a questo punto, a richiamarmi ai fatti.

 Diamo per fondata l’ipotesi che i circa 150 posti nelle terapie intensive dei nosocomi calabresi non sarebbero sufficienti a gestire una (possibile?) improvvisa impennata dei ricoveri, cosa (non) è stato fatto per aumentare la disponibilità di ulteriori posti letto nei sei mesi di tempo che ci hanno separati dalla seconda ondata? Di chi è la responsabilità?

 Lei conoscerà già la risposta, ma per amore di cronaca mi permetterà un breve riassunto.

 A livello amministrativo – lo sappiamo – la sanità calabrese è questione romana da oltre dieci anni. E prima ancora lo era stata, per almeno un altro decennio, della ‘ndrangheta. Non è un caso che una delle prime (se non la prima in assoluto) Asl sciolte per condizionamento mafioso in Italia sia stata quella di Locri, nel lontano 2008, seguita a ruota da quella di Reggio Calabria.

“Una relazione che farei leggere in ogni scuola”, disse in diretta tv l’allora viceministro dell’Interno Marco Minniti, a proposito della relazione della Commissione d’accesso inviata a Locri (e presieduta dal prefetto Paola Basilone) all’indomani dell’uccisione del vicepresidente Franco Fortugno, primario al pronto soccorso di Locri e che tutti i bookmaker, alla vigilia delle elezioni regionali del 2005, davano come futuro assessore regionale alla Sanità.

Ma andiamo per ordine. 

Ci sono i commissariamenti per mafia, dicevo, che formalmente dispone sempre il governo, per il tramite delle Prefetture, e ci sono i commissariamenti squisitamente “politico-amministrativi”, ovvero quelli più difficili, rognosi, che lo Stato dispone (e proroga) per rimettere a posto i conti macellati da decenni di malapolitica regionale.

Ricordo con un sorriso amaro quando veniva ammesso pubblicamente con un candore da far invidia ad un bimbo che “la sanità è la nostra Fiat” per bocca di Agazio Loiero, l’ultimo presidente nella storia recente della regione a nominare (di concerto con le forze politiche che reggevano la sua maggioranza) i direttori generali ed i management delle aziende sanitarie locali e provinciali calabresi.

Il nostro diritto alla salute, dall’inizio del regionalismo e passando per la riforma del Titolo V della Costituzione, anziché essere migliorato è stato mercificato, trasformato in numeri e poltrone da spartire con questo o quel “compare”. Anche perché, a poco a poco, le (molte) industrie e multinazionali che per decenni avevano imposto depredato le nostre economie, inquinato le nostre acque e le nostre terre, distraendo risorse statali ed europee destinate allo sviluppo dei nostri territori con il placet della (peggiore) classe politica calabrese, avevano iniziato a darsela a gambe da un pezzo.

Durante i mesi del primo lockdown ho messo in piedi un piccolo podcast, all’interno del quale in tutta onestà non le ho risparmiato critiche, Presidente, ma ho sempre detto anche che non avrei mai voluto essere al suo posto in questo momento, così come non ho mancato di dare atto quando lei ed il suo governo avete operato bene. Oggi, però, prima ancora che la responsabilità degli interventi urgenti e necessari, alla luce delle scelte che lei ha posto in essere ha anche e soprattutto il dovere della verità nei confronti dei cittadini calabresi, nella sua qualità di amministratore straordinario di un’azienda, la più grande in termini di PIL regionale (a favore delle strutture private, ma questa è un’altra storia…), è Palazzo Chigi. Pur non detenendone alcuna quota.

""Tutte le scelte sanitarie competono in Calabria al governo ed ai suoi commissari. […] Chi decide di commissariare e di effettuare le scelte, poi deve avere il coraggio di assumersi la responsabilità che ne conseguono. La fase Covid è stata gestita dalla Regione in assoluta sintonia con il governo nazionale. Il nuovo piano sull’emergenza, invece, su richiesta dei commissari è stato predisposto dagli stessi senza alcun coinvolgimento della Regione, e varato dal Ministero competente"".

Le ricorderà senz’altro, perché ho visto e apprezzato il suo gesto, Presidente Conte. Sono le parole che le rivolgeva, in una lettera personale inviatale il 13 settembre 2020, la Presidente della Regione Calabria Jole Santelli, un mese prima della sua prematura scomparsa.

Non ho altro da aggiungere, se non far mio quanto denunciatole “costruttivamente” dalla nostra governatrice. Una donna, va ricordato, che anche durante il primo lockdown si recava ogni giorno nel suo ufficio al palazzo regionale, nonostante la malattia la stesse consumando voracemente, per seguire in prima persona la gestione dell’emergenza. La stessa presidente che, fino a pochi giorni prima di morire, veniva accusata da certa stampa locale di «favoleggiare» quando annunciava la creazione diverse altre centinaia di posti letto per fronteggiare senza timori una nuova fase emergenziale.

E no, io non sono mai stato clemente con i politici regionali calabresi, ma le cose vanno raccontate per come stanno. Mi permetterà di rammentare a me stesso, a lei ed a chi ci legge giusto qualche dato, nome e numero (sa, da attivista antimafia non ho avuto sempre ottima stampa dai colleghi dell’informazione calabrese, e quindi non vorrei essere facilmente accusato a mia volta di favoleggiare).

Lo scorso maggio, al fine di rafforzare la rete ospedaliera e il sistema sanitario nazionale in vista della seconda ondata, attraverso il decreto “Rilancio” il suo Governo ha stanziato oltre tre miliardi di euro. Di questi – registrano le cronache – 51 milioni sono stati destinati alla Calabria. Poco prima dell’estate (a giugno, a quanto mi risulta) è stato anche promosso un vertice in Regione alla presenza del sub commissario della Sanità, Maria Crocco, e di tutti i commissari delle aziende sanitarie e ospedaliere regionali.

Ma ad certo punto tutto si è fermato. E perché? Credo che più che una risposta, e tante domande retoriche purtroppo, si trovino in quella stessa missiva che la governatrice le scriveva a settembre: «Nella riunione con il commissario Arcuri e i ministri Speranza e Boccia, il commissario Arcuri ha specificato che nelle Regioni in cui è presente il commissariamento ad acta la Regione non è soggetto attuatore».

Il soggetto attuatore, quindi, era questione romana, Del governo. Del suo governo, Presidente. Quello stesso governo che avrebbe dovuto e potuto salvarci e che oggi con un colpo di decreto ci sta abbandonando al nostro destino.

Onore a Jole Santelli che almeno ci ha provato, fino alla fine.

 

Aldo Pecora

Ps:

Che destino beffardo: Domenico Arcuri è pure calabrese! Erano più urgenti i banchi con le rotelle?

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