L'unità, oggi, non è un'opzione ma un dovere.
Competenza, coraggio, umiltà.
Posto integralmente il discorso del premier, Mario Draghi, nella consapevolezza che, oggi più di ieri, essere al servizio completo della Nazione, operando solo per il bene della stessa, sia sinonimo di amore e passione.
"Il primo pensiero che vorrei
condividere, nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra
responsabilità nazionale. Il
principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come
presidente del Consiglio, è
di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare
le vite dei nostri
concittadini. Una trincea dove combattiamo tutti insieme. Il virus è nemico
di tutti. Ed è nel commosso
ricordo di chi non c’è più che cresce il nostro impegno. Prima
di illustrarvi il mio
programma, vorrei rivolgere un altro pensiero, partecipato e solidale, a
tutti coloro che soffrono
per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro
che lavorano nelle attività
più colpite o fermate per motivi sanitari. Conosciamo le loro
ragioni, siamo consci del
loro enorme sacrificio e li ringraziamo. Ci impegniamo a fare di
tutto perché possano
tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro
diritti, alla normalità
delle loro occupazioni. Ci impegniamo a informare i cittadini con
sufficiente anticipo, per
quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di
ogni cambiamento nelle
regole.
Il Governo farà le riforme
ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un
dopo. Siamo consci
dell’insegnamento di Cavour:”… le riforme compiute a tempo, invece
di indebolire l’autorità, la
rafforzano”. Ma nel frattempo dobbiamo occuparci di chi soffre
adesso, di chi oggi perde il
lavoro o è costretto a chiudere la propria attività.
Nel ringraziare, ancora una
volta il presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico
che mi è stato assegnato,
vorrei dirvi che non vi è mai stato, nella mia lunga vita
professionale, un momento di
emozione così intensa e di responsabilità così ampia.
Ringrazio altresì il mio
predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di
emergenza sanitaria ed
economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia.
Si è discusso molto sulla
natura di questo governo. La storia repubblicana ha dispensato
una varietà infinita di
formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il
corretto funzionamento di
una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che
ho l’onore di presiedere,
specialmente in una situazione drammatica come quella che
stiamo vivendo, è
semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo
che lo definisca. Riassume
la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle
forze politiche che lo
sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti,
dei propri elettori come
degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei
cittadini italiani tutti.
Questo è lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una
situazione di emergenza
raccogliendo l’alta indicazione del capo dello Stato.
La crescita di un’economia
di un Paese non scaturisce solo da fattori economici. Dipende
dalle istituzioni, dalla
fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di
speranze. Gli stessi fattori
determinano il progresso di un Paese.
Si è detto e scritto che
questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica.
Mi sia consentito di non
essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla
propria identità ma semmai,
in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di
collaborazione, ne fa uno
avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi
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ai problemi quotidiani delle
famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento
di lavorare insieme, senza
pregiudizi e rivalità.
Nei momenti più difficili
della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si
è tradotta in scelte coraggiose,
in visioni che fino a un attimo prima sembravano
impossibili. Perché prima di
ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza.
Siamo cittadini di un Paese
che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo,
senza lesinare anche il più
piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la
crisi economica. E noi oggi,
politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo
tutti semplicemente
cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente
consapevoli del compito che
ci è stato affidato.
Questo è lo spirito
repubblicano del mio governo.
La durata dei governi in
Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in
momenti anche drammatici
della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il
futuro dei nostri figli e
nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni,
non contano i giorni. Il
tempo del potere può essere sprecato anche nella sola
preoccupazione di
conservarlo. Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi
dell’immediato Dopoguerra,
la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova
Ricostruzione. L’Italia si
risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con
orgoglio e determinazione e
mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e
lavoro. Ma soprattutto
grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive
sarebbe stato migliore per
tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel
perseguimento di un riscatto
civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze
politiche ideologicamente
lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questa
Nuova Ricostruzione nessuno
farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio
apporto. Questa è la nostra
missione di italiani: consegnare un Paese migliore e più giusto
ai figli e ai nipoti.
Spesso mi sono chiesto se
noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo
fatto e stiamo facendo per
loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi,
sacrificandosi oltre misura.
È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo
tutto il necessario per
promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola,
l’università e la cultura.
Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e
urgenti quando deludiamo i
nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che
troppo spesso non sa
valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di
genere. Una domanda che non
possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito
pubblico senza aver speso e
investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni
spreco oggi è un torto che
facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro
diritti. Esprimo davanti a
voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il
desiderio e la necessità di
costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre
decisioni. Nella speranza
che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui
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in questa aula, ci
ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il
nostro egoismo.
Questo governo nasce nel
solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio
fondatore, all’Unione
europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle
grandi democrazie
occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere
questo governo significa
condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa
condividere la prospettiva
di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a
un bilancio pubblico comune
capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli
Stati nazionali rimangono il
riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro
debolezza cedono sovranità
nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi,
nell’appartenenza convinta
al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più
vicini ai nostri territori
di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo
italiano alla crescita e
allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa.
Ma, fuori dall’Europa c’è
meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno
di ciò che siamo, nell’oblio
di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo
essere. Siamo una grande
potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un
po’ addolorato in questi
anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro
Paese sia migliore del
nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi
nei confronti del nostro
Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del
nostro capitale sociale, del
nostro volontariato, che altri ci invidiano.
Lo stato del Paese dopo un
anno di pandemia
Da quando è esplosa
l’epidemia, ci sono stati -- i dati ufficiali sottostimano il fenomeno --
92.522 morti, 2.725.106
cittadini colpiti dal virus, in questo momento 2.074 sono i
ricoverati in terapia
intensiva. Ci sono 259 morti tra gli operatori sanitari e 118.856 sono
quelli contagiati, a
dimostrazione di un enorme sacrificio sostenuto con generosità e
impegno. Cifre che hanno
messo a dura prova il sistema sanitario nazionale, sottraendo
personale e risorse alla
prevenzione e alla cura di altre patologie, con conseguenze
pesanti sulla salute di
tanti italiani.
L’aspettativa di vita, a
causa della pandemia, è diminuita: fino a 4 - 5 anni nelle zone di
maggior contagio; un anno e
mezzo - due in meno per tutta la popolazione italiana. Un
calo simile non si
registrava in Italia dai tempi delle due guerre mondiali.
La diffusione del virus ha
comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto
economico e sociale del
nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione,
specialmente quella dei
giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi
quando verrà meno il divieto
di licenziamento.
Si è anche aggravata la
povertà. I dati dei centri di ascolto Caritas, che confrontano il
periodo maggio-settembre del
2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano che da un
anno all’altro l’incidenza
dei “nuovi poveri” passa dal 31% al 45%: quasi una persona su
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due che oggi si rivolge alla
Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in
particolare il peso delle
famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani, che
sono oggi la maggioranza
(52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in
età lavorativa, di fasce di
cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza.
Il numero totale di ore di
Cassa integrazione per emergenza sanitaria dal 1 aprile al 31
dicembre dello scorso anno supera
i 4 milioni. Nel 2020 gli occupati sono scesi di 444
mila unità ma il calo si è
accentrato su contratti a termine (-393 mila) e lavoratori autonomi
(-209). La pandemia ha
finora ha colpito soprattutto giovani e donne, una disoccupazione
selettiva ma che presto
potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo
indeterminato.
Gravi e con pochi precedent
storici gli effetti sulla diseguaglianza. In assenza di interventi
pubblici il coefficiente di
Gini, una misura della diseguaglianza nella distribuzione del
reddito, sarebbe aumentato,
nel primo semestre del 2020 (secondo una recente stima),
di 4 punti percentuali,
rispetto al 34.8% del 2019. Questo aumento sarebbe stato
maggiore di quello cumulato
durante le due recenti recessioni. L’aumento nella
diseguaglianza è stato
tuttavia attenuato dalle reti di protezione presenti nel nostro
sistema di sicurezza
sociale, in particolare dai provvedimenti che dall’inizio della
pandemia li hanno
rafforzati. Rimane però il fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale
è squilibrato, non
proteggendo a sufficienza i cittadini con impieghi a tempo determinato
e i lavoratori autonomi.
Le previsioni pubblicate la
scorsa settimana dalla Commissione europea indicano che
sebbene nel 2020 la recessione
europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse
-- e che quindi già fra poco
più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività
economica pre-pandemia – in
Italia questo non accadrà prima della fine del 2022, in un
contesto in cui, prima della
pandemia, non avevamo ancora recuperato pienamente gli
effetti delle crisi del
2008-09 e del 2011-13.
La diffusione del Covid ha
provocato ferite profonde nelle nostre comunità, non solo sul
piano sanitario ed
economico, ma anche su quello culturale ed educativo. Le ragazze e i
ragazzi hanno avuto,
soprattutto quelli nelle scuole secondarie di secondo grado, il
servizio scolastico
attraverso la Didattica a Distanza che, pur garantendo la continuità del
servizio, non può non creare
disagi ed evidenziare diseguaglianze. Un dato chiarisce
meglio la dinamica attuale:
a fronte di 1.696.300 studenti delle scuole secondarie di
secondo grado, nella prima
settimana di febbraio solo 1.039.372 studenti (il 61,2% del
totale) ha avuto assicurato
il servizio attraverso la Didattica a Distanza.
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Le priorità per ripartire
Questa situazione di
emergenza senza precedenti impone di imboccare, con decisione e
rapidità, una strada di
unità e di impegno comune.
Il piano di vaccinazione.
Gli scienziati in soli 12 mesi hanno fatto un miracolo: non era
mai accaduto che si
riuscisse a produrre un nuovo vaccino in meno di un anno. La nostra
prima sfida è, ottenutene le
quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed
efficientemente.
Abbiamo bisogno di
mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla
protezione civile, alle
forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le
vaccinazioni all’interno di
luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di
renderle possibili in tutte
le strutture disponibili, pubbliche e private. Facendo tesoro
dell’esperienza fatta con i
tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche
al di fuori della ristretta
cerchia di ospedali autorizzati. E soprattutto imparando da Paesi
che si sono mossi più
rapidamente di noi disponendo subito di quantità di vaccini
adeguate. La velocità è
essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità
sociali, ma ora anche per
ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus.
Sulla base dell’esperienza
dei mesi scorsi dobbiamo aprire un confronto a tutto campo
sulla riforma della nostra
sanità. Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità
territoriale, realizzando una
forte rete di servizi di base (case della comunità, ospedali di
comunità, consultori, centri
di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà
sanitaria). È questa la
strada per rendere realmente esigibili i “Livelli essenziali di
assistenza” e affidare agli
ospedali le esigenze sanitarie acute, post acute e riabilitative.
La “casa come principale
luogo di cura” è oggi possibile con la telemedicina, con
l’assistenza domiciliare
integrata.
La scuola: non solo dobbiamo
tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche
distribuendolo su diverse
fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più
adatte, per recuperare le
ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto
nelle regioni del
Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori
difficoltà.
Occorre rivedere il disegno
del percorso scolastico annuale. Allineare il calendario
scolastico alle esigenze
derivanti dall’esperienza vissuta dall’inizio della pandemia. Il
ritorno a scuola deve
avvenire in sicurezza.
È necessario investire in
una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario
umanistico riconosciuto a
livello internazionale. Siamo chiamati disegnare un percorso
educativo che combini la
necessaria adesione agli standard qualitativi richiesti, anche nel
panorama europeo, con
innesti di nuove materie e metodologie, e coniugare le
competenze scientifiche con
quelle delle aree umanistiche e del multilinguismo.
Infine è necessario
investire nella formazione del personale docente per allineare l’offerta
educativa alla domanda delle
nuove generazioni.
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In questa prospettiva
particolare attenzione va riservata agli ITIS (istituti tecnici). In
Francia e in Germania, ad
esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema
educativo. E’ stato stimato
in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di
diplomati di istituti
tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Programma Nazionale di
Ripresa e Resilienza assegna
1,5 md agli ITIS, 20 volte il finanziamento di un anno
normale pre-pandemia. Senza
innovare l’attuale organizzazione di queste scuole,
rischiamo che quelle risorse
vengano sprecate.
La globalizzazione, la
trasformazione digitale e la transizione ecologica stanno da anni
cambiando il mercato del
lavoro e richiedono continui adeguamenti nella formazione
universitaria. Allo stesso
tempo occorre investire adeguatamente nella ricerca, senza
escludere la ricerca di
base, puntando all’eccellenza, ovvero a una ricerca riconosciuta a
livello internazionale per
l’impatto che produce sulla nuova conoscenza e sui nuovi
modelli in tutti i campi
scientifici. Occorre infine costruire sull’esperienza di didattica a
distanza maturata nello
scorso anno sviluppandone le potenzialità con l’impiego di
strumenti digitali che
potranno essere utilizzati nella didattica in presenza.
Oltre la pandemia
Quando usciremo, e usciremo,
dalla pandemia, che mondo troveremo? Alcuni pensano
che la tragedia nella quale
abbiamo vissuto per più di 12 mesi sia stata simile ad una
lunga interruzione di
corrente. Prima o poi la luce ritorna, e tutto ricomincia come prima.
La scienza, ma semplicemente
il buon senso, suggeriscono che potrebbe non essere
così.
Il riscaldamento del pianeta
ha effetti diretti sulle nostre vite e sulla nostra salute,
dall’inquinamento, alla
fragilità idrogeologica, all’innalzamento del livelllo dei mari che
potrebbe rendere ampie zone
di alcune città litoranee non più abitabili. Lo spazio che
alcune megalopoli hanno
sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della
trasmissione del virus dagli
animali all'uomo.
Come ha detto papa Francesco
"Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro
maltrattamento. E io penso
che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi
direbbe che è una cosa
buona: siamo stati noi a rovinare l'opera del Signore”.
Proteggere il futuro
dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale,
richiede un approccio nuovo:
digitalizzazione, agricoltura, salute, energia, aerospazio,
cloud computing, scuole ed
educazione, protezione dei territori , biodiversità,
riscaldamento globale ed
effetto serra, sono diverse facce di una sfida poliedrica che
vede al centro l’ecosistema
in cui si svilupperanno tutte le azioni umane.
Anche nel nostro Paese
alcuni modelli di crescita dovranno cambiare. Ad esempio il
modello di turismo,
un’attività che prima della pandemia rappresentava il 14 per cento
del totale delle nostre
attività economiche. Imprese e lavoratori in quel settore vanno
aiutati ad uscire dal
disastro creato dalla pandemia. Ma senza scordare che il nostro
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turismo avrà un futuro se
non dimentichiamo che esso vive della nostra capacità di
preservare, cioè almeno non
sciupare, città d’arte, luoghi e tradizioni che successive
generazioni attraverso molti
secoli hanno saputo preservare e ci hanno tramandato.
Uscire dalla pandemia non
sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione, che gli
scienziati non smettono di
ripeterci, ha una conseguenza importante. Il governo dovrà
proteggere i lavoratori,
tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere
indifferentemente tutte le
attività economiche. Acune dovranno cambiare, anche
radicalmente. E la scelta di
quali attività proteggere e quali accompagnare nel
cambiamento è il difficile
compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi
mesi.
La capacità di adattamento
del nostro sistema produttivo e interventi senza precedenti
hanno permesso di preservare
la forza lavoro in un anno drammatico: sono stati sette
milioni i lavoratori che
hanno fruito di strumenti di integrazione salariale per un totale di 4
miliardi di ore. Grazie a
tali misure, supportate anche dalla Commissione Europea
mediante il programma SURE,
è stato possibile limitare gli effetti negativi
sull'occupazione. A pagare
il prezzo più alto sono stati i giovani, le donne e i lavoratori
autonomi. E’ innanzitutto a
loro che bisogna pensare quando approntiamo una strategia
di sostegno delle imprese e
del lavoro, strategia che dovrà coordinare la sequenza degli
interventi sul lavoro, sul
credito e sul capitale.
Centrali sono le politiche
attive del lavoro. Affinché esse siano immediatamente operative
è necessario migliorare gli
strumenti esistenti, come l’assegno di riallocazione,
rafforzando le politiche di
formazione dei lavoratori occupati e disoccupati. Vanno anche
rafforzate le dotazioni di
personale e digitali dei centri per l’impiego in accordo con le
regioni. Questo progetto è
già parte del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza
ma andrà anticipato da
subito.
Il cambiamento climatico,
come la pandemia, penalizza alcuni settori produttivi senza che
vi sia un’espansione in
altri settori che possa compensare. Dobbiamo quindi essere noi
ad assicurare questa
espansione e lo dobbiamo fare subito.
La risposta della politica
economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà
essere una combinazione di
politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche
finanziarie che facilitino
l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito
e di politiche monetarie e
fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino
domanda per le nuove
attività sostenibili che sono state create.
Vogliamo lasciare un buon
pianeta, non solo una buona moneta.
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Parità di genere
La mobilitazione di tutte le
energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal
coinvolgimento delle donne.
Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane
tra i più alti di Europa:
circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad
oggi, la situazione è
notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari
passo con un altrettanto
evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne.
L’Italia presenta oggi uno
dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica
scarsità di donne in
posizioni manageriali di rilievo.
Una vera parità di genere
non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla
legge: richiede che siano
garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo
lavorare in questo senso,
puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di
welfare che permetta alle
donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro
colleghi uomini, superando
la scelta tra famiglia o lavoro.
Garantire parità di
condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano
eguale accesso alla
formazione di quelle competenze chiave che sempre più
permetteranno di fare
carriera – digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo quindi
investire, economicamente ma
soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani
donne scelgano di formarsi
negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in
questo modo riusciremo a
garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo
del Paese.
Il Mezzogiorno
Aumento dell’occupazione, in
primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere,
autodeterminazione,
legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento
dell’occupazione femminile
nel Mezzogiorno. Sviluppare la capacità di attrarre
investimenti privati
nazionali e internazionali è essenziale per generare reddito, creare
lavoro, investire il declino
demografico e lo spopolamento delle aree interne. Ma per
raggiungere questo obiettivo
occorre creare un ambiente dove legalità e sicurezza siano
sempre garantite. Vi sono
poi strumenti specifici quali il credito d’imposta e altri interventi
da concordare in sede
europea.
Per riuscire a spendere e
spendere bene, utilizzando gli investimenti dedicati dal Next
Generation EU occorre
irrobustire le amministrazioni meridionali, anche guardando con
attenzione all’esperienza di
un passato che spesso ha deluso la speranza.
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Gli investimenti pubblici
In tema di infrastrutture
occorre investire sulla preparazione tecnica, legale ed economica
dei funzionari pubblici per
permettere alle amministrazioni di poter pianificare, progettare
ed accelerare gli
investimenti con certezza dei tempi, dei costi e in piena compatibilità
con gli indirizzi di
sostenibilità e crescita indicati nel Programma nazionale di Ripresa e
Resilienza. Particolare
attenzione va posta agli investimenti in manutenzione delle opere
e nella tutela del
territorio, incoraggiando l’utilizzo di tecniche predittive basate sui più
recenti sviluppi in tema di
Intelligenza artificiale e tecnologie digitali. Il settore privato deve
essere invitato a
partecipare alla realizzazione degli investimenti pubblici apportando più
che finanza, competenza,
efficienza e innovazione per accelerare la realizzazione dei
progetti nel rispetto dei
costi previsti.
Next Generation EU
La strategia per i progetti
del Next Generation EU non può che essere trasversale e
sinergica, basata sul
principio dei co-benefici, cioè con la capacità di impattare
simultaneamente più settori,
in maniera coordinata.
Dovremo imparare a prevenire
piuttosto che a riparare, non solo dispiegando tutte le
tecnologie a nostra
disposizione ma anche investendo sulla consapevolezza delle nuove
generazioni che “ogni azione
ha una conseguenza”.
Come si è ripetuto più
volte, avremo a disposizione circa 210 miliardi lungo un periodo di
sei anni.
Queste risorse dovranno
essere spese puntando a migliorare il potenziale di crescita
della nostra economia. La
quota di prestiti aggiuntivi che richiederemo tramite la
principale componente del
programma, lo Strumento per la ripresa e resilienza, dovrà
essere modulata in base agli
obiettivi di finanza pubblica.
Il precedente Governo ha già
svolto una grande mole di lavoro sul Programma di ripresa
e resilienza (PNRR).
Dobbiamo approfondire e completare quel lavoro che, includendo
le necessarie interlocuzioni
con la Commissione Europea, avrebbe una scadenza molto
ravvicinata, la fine di
aprile.
Gli orientamenti che il
Parlamento esprimerà nei prossimi giorni a commento della bozza
di Programma presentata dal
Governo uscente saranno di importanza fondamentale nella
preparazione della sua
versione finale. Voglio qui riassumere l’orientamento del nuovo
Governo.
Le Missioni del Programma
potranno essere rimodulate e riaccorpate, ma resteranno
quelle enunciate nei
precedenti documenti del Governo uscente, ovvero l’innovazione, la
digitalizzazione, la
competitività e la cultura; la transizione ecologica; le infrastrutture per
la mobilità sostenibile; la
formazione e la ricerca; l’equità sociale, di genere,
generazionale e
territoriale; la salute e la relativa filiera produttiva.
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Dovremo rafforzare il
Programma prima di tutto per quanto riguarda gli obiettivi strategici
e le riforme che li
accompagnano.
Obiettivi strategici:
Il Programma è finora stato
costruito in base ad obiettivi di alto livello e aggregando
proposte progettuali in
missioni, componenti e linee progettuali. Nelle prossime settimane
rafforzeremo la dimensione
strategica del Programma, in particolare con riguardo agli
obiettivi riguardanti la
produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e
delle acque, la rete
ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a
propulsione elettrica, la
produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la
banda larga e le reti di
comunicazione 5G.
Il ruolo dello Stato e il
perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con
attenzione. Compito dello
dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo,
dell’istruzione e della
formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della
tassazione.
In base a tale visione
strategica, il Programma nazionale di Ripresa e Resilienza
indicherà obiettivi per il
prossimo decennio e più a lungo termine, con una tappa
intermedia per l’anno finale
del Next Generation EU, il 2026. Non basterà elencare
progetti che si vogliono
completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo
arrivare nel 2026 e a cosa
puntiamo per il 2030 e il 2050, anno in cui l’Unione Europea
intende arrivare a zero
emissioni nette di CO2 e gas clima-alteranti.
Selezioneremo progetti e
iniziative coerenti con gli obiettivi strategici del Programma,
prestando grande attenzione
alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma.
Assicureremo inoltre che
l’impulso occupazionale del Programma sia sufficientemente
elevato in ciascuno dei sei
anni, compreso il 2021.
Chiariremo il ruolo del
terzo settore e del contributo dei privati al Programma Nazionale
di Ripresa e Resilienza
attraverso i meccanismi di finanziamento a leva (fondo dei fondi).
Sottolineeremo il ruolo
della scuola che tanta parte ha negli obiettivi di coesione sociale
e territoriale e quella
dedicata all'inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro
Nella sanità dovremo usare
questi progetti per porre le basi, come indicato sopra, per
rafforzare la medicina
territoriale e la telemedicina.
La governance del Programma
di ripresa e resilienza è incardinata nel Ministero
dell’Economia e Finanza con
la strettissima collaborazione dei Ministeri competenti che
definiscono le politiche e i
progetti di settore. Il Parlamento verrà costantemente informato
sia sull’impianto
complessivo, sia sulle politiche di settore.
Infine il capitolo delle
riforme che affronterò ora separatamente.
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Le riforme
Il Next generation EU
prevede riforme.
Alcune riguardano problemi
aperti da decenni ma che non per questo vanno dimenticati.
Fra questi la certezza delle
norme e dei piani di investimento pubblico, fattori che limitano
gli investimenti, sia
italiani che esteri. inoltre la concorrenza: chiederò all’Autorità garante
per la concorrenza e il
mercato, di produrre in tempi brevi come previsto dalla Legge
Annuale sulla Concorrenza
(Legge 23 luglio 2009, n. 99) le sue proposte in questo
campo.
Negli anni recenti i nostri
tentativi di riformare il paese non sono stati del tutto assenti, ma
i loro effetti concreti sono
stati limitati. Il problema sta forse nel modo in cui spesso
abbiamo disegnato le
riforme: con interventi parziali dettati dall’urgenza del momento,
senza una visione a tutto
campo che richiede tempo e competenza. Nel caso del fisco,
per fare un esempio, non
bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo
complesso, le cui parti si
legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse
una alla volta. Un
intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di
pressione riescano a
spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli.
Inoltre, le esperienze di
altri paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero
essere affidate a esperti,
che conoscono bene cosa può accadere se si cambia
un’imposta. Ad esempio la
Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in
materia fiscale. La
Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo
presentò la sua relazione al
Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione
fiscale pari a 2 punti di
Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva
ridotta, mentre la soglia di
esenzione veniva alzata.
Un metodo simile fu seguito
in Italia all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso quando
il governo affidò ad una
commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare
Cosciani, il compito di
ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più
modificato dai tempi della
riforma Vanoni del 1951. Si deve a quella commissione
l’introduzione dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche e del sostituto d’imposta per i
redditi da lavoro
dipendente. Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio
decisivo. Indica priorità,
dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di
bilancio
In questa prospettiva va
studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo
di semplificare e
razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico
fiscale e preservando la
progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi
obiettivi sarà anche un
rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto
all’evasione fiscale.
L’altra riforma che non si
può procrastinare è quella della pubblica amministrazione.
Nell’emergenza l’azione
amministrativa, a livello centrale e nelle strutture locali e
periferiche, ha dimostrato
capacità di resilienza e di adattamento grazie a un impegno
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diffuso nel lavoro a distanza
e a un uso intelligente delle tecnologie a sua disposizione.
La fragilità del sistema
delle pubbliche amministrazioni e dei servizi di interesse collettivo
è, tuttavia, una realtà che
deve essere rapidamente affrontata.
Particolarmente urgente è lo
smaltimento dell’arretrato accumulato durante la pandemia.
Agli uffici verrà chiesto di
predisporre un piano di smaltimento dell’arretrato e comunicarlo
ai cittadini
La riforma dovrà muoversi su
due direttive: investimenti in connettività con anche la
realizzazione di piattaforme
efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini;
aggiornamento continuo delle
competenze dei dipendenti pubblici, anche selezionando
nelle assunzioni le migliori
competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro,
senza costringere a
lunghissime attese decine di migliaia di candidati.
Nel campo della giustizia le
azioni da svolgere sono principalmente quelle che si
collocano all’interno del
contesto e delle aspettative dell’Unione europea. Nelle Country
Specific Recommendations
indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, la
Commissione, pur dando atto
dei progressi compiuti negli ultimi anni, ci esorta: ad
aumentare l’efficienza del
sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione
dei decreti di riforma in
materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente
dei tribunali, favorendo lo
smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di
lavoro, adottando norme
procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale
amministrativo, riducendo le
differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale
a tribunale e infine
favorendo la repressione della corruzione.
Nei nostri rapporti
internazionali questo governo sarà convintamente europeista e
atlantista, in linea con gli
ancoraggi storici dell’Italia: Unione europea, Alleanza Atlantica,
Nazioni Unite. Ancoraggi che
abbiamo scelto fin dal dopoguerra, in un percorso che ha
portato benessere, sicurezza
e prestigio internazionale. Profonda è la nostra vocazione
a favore di un
multilateralismo efficace, fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni
Unite.
Resta forte la nostra
attenzione e proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario,
come i Balcani, il
Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia e al
Mediterraneo orientale, e
all’Africa.
Gli anni più recenti hanno
visto una spinta crescente alla costruzione in Europa di reti di
rapporti bilaterali e
plurilaterali privilegiati. Proprio la pandemia ha rivelato la necessità di
perseguire uno scambio più
intenso con i partner con i quali la nostra economia è più
integrata. Per l’Italia ciò
comporterà la necessità di meglio strutturare e rafforzare il
rapporto strategico e
imprescindibile con Francia e Germania. Ma occorrerà anche
consolidare la
collaborazione con Stati con i quali siamo accomunati da una specifica
sensibilità mediterranea e
dalla condivisione di problematiche come quella ambientale e
migratoria: Spagna, Grecia,
Malta e Cipro. Continueremo anche a operare affinché si
avvii un dialogo più
virtuoso tra l’Unione europea e la Turchia, partner e alleato NATO.
L’Italia si adopererà per
alimentare meccanismi di dialogo con la Federazione Russa.
Seguiamo con preoccupazione
ciò che sta accadendo in questo e in altri paesi dove i
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diritti dei cittadini sono
spesso violati. Seguiamo anche con preoccupazione l’aumento
delle tensioni in Asia
intorno alla Cina.
Altra sfida sarà il
negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale
perseguiremo un deciso
rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo
ingresso e solidarietà
effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea
dei rimpatri dei non aventi
diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto
dei diritti dei rifugiati.
L’avvento della nuova
Amministrazione USA prospetta un cambiamento di metodo, più
cooperativo nei confronti
dell’Europa e degli alleati tradizionali. Sono fiducioso che i nostri
rapporti e la nostra
collaborazione non potranno che intesificarsi.
Dal dicembre scorso e fino
alla fine del 2021, l’Italia esercita per la prima volta la
Presidenza del G20. Il
programma, che coinvolgerà l’intera compagine governativa, ruota
intorno a tre pilastri:
People, Planet, Prosperity. L’Italia avrà la responsabilità di guidare il
Gruppo verso l’uscita dalla
pandemia, e di rilanciare una crescita verde e sostenibile a
beneficio di tutti. Si
tratterà di ricostruire e di ricostruire meglio.
Insieme al Regno Unito – con
cui quest’anno abbiamo le Presidenze parallele del G7 e
del G20 – punteremo sulla
sostenibilità e la “transizione verde” nella prospettiva della
prossima Conferenza delle
Parti sul cambiamento climatico (Cop 26), con una particolare
attenzione a coinvolgere
attivamente le giovani generazioni, attraverso l’evento
“Youth4Climate”.
* * *
Questo è il terzo governo
della legislatura. Non c’è nulla che faccia pensare che possa
far bene senza il sostegno
convinto di questo Parlamento. E’ un sostegno che non poggia
su alchimie politiche ma
sullo spirito di sacrificio con cui donne e uomini hanno affrontato
l’ultimo anno, sul loro
vibrante desiderio di rinascere, di tornare più forti e sull’entusiasmo
dei giovani che vogliono un
paese capace di realizzare i loro sogni. Oggi, l’unità non è
un’opzione, l’unità è un
dovere. Ma è un dovere guidato da ciò che son certo ci unisce
tutti: l’amore per l’Italia".