mercoledì 3 febbraio 2021

Crisi di governo. Chi è Mario Draghi

 

Mario Draghi è stato convocato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,  al Quirinale per formare un nuovo governo.

Famoso il suo manifesto durante gli anni alla presidenza della Banca centrale europea "Whatever it takes", dice in un'uscita pubblica nel luglio 2012. "Ad ogni costo", per preservare l'euro. E così è stato.

La sua carriera all’interno delle istituzioni finanziarie italiane ed europee inizia nel 1991 quando Guido Carli, ministro del Tesoro nel governo Andreotti, lo nomina direttore generale del Tesoro, su consiglio dell’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi.

Con quella carica, Draghi segue tutta la stagione delle privatizzazioni e la stesura delle nuove regole della finanza, al punto che il testo unico in materia, del 1998, viene informalmente battezzato con il suo nome.

Nel 2002 passa in Goldman Sachs, fino alla nomina a governatore della Banca d'Italia, proposta dal governo Berlusconi.

Mario Draghi succede ad Antonio Fazio, dimessosi in seguito agli scandali che scossero l'Istituto, riuscendo a ridare autorevolezza alla Banca e rinnovando profondamente principi, regole e procedure. 

A giugno 2011 viene scelto come governatore della Bce al posto di Jean Claude Trichet e contribuisce a provocare la crisi del governo Berlusconi firmando, insieme al suo predecessore, una lettera in cui, tra l'altro, invita l'esecutivo italiano "a rafforzare la reputazione della sua forma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali".

Tra il 2011 e il 2012 adotta una serie di misure e provvedimenti per tenere in piedi l’euro. 

Il Piano di Rifinanziamento a lungo termine (Ltro) per il settore bancario, il taglio dei tassi d'interesse, lo sblocco del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), detto anche Fondo salva-Stati, il Quantitative easing, con cui l'Eurotower riacquista i titoli di Stato in pancia alle banche immettendo liquidità da destinare al finanziamento di famiglie e imprese.

Un programma che, nonostante le resistenze tedesche, ha immesso nel sistema, fino alla fine del 2018, circa 2.600 miliardi di euro, pari a quasi il 20% del Pil dell'Unione europea.

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