“Ci sono cose che non si
fanno per coraggio. Si fanno per potere continuare a guardare serenamente negli
occhi i propri figli e i figli dei propri figli. C’è troppa gente onesta, tanta
gente qualunque, che ha fiducia in me. Non posso deluderla”.
Una citazione del generale
dei carabinieri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, che porto sempre con me come humus
per continuare a vivere e operare nella nostra società con quel senso dello
stato e umiltà, propri di chi vuole continuare a lottare per la legalità in
ogni dove.
Oggi, ricorre il 31mo
anniversario dell’omicidio del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della
moglie Manuela Setti Carraro e dell’Agente della Polizia di Stato Domenico
Russo.
Era il 3 settembre del 1982.
Il prefetto era arrivato a Palermo 100 giorni prima per combattere la mafia,
con l’obiettivo di ottenere contro Cosa Nostra gli stessi brillanti risultati,
raggiunti contro le Brigate Rosse.
4 mesi circa di intenso
lavoro. Già nel mese di giugno, Dalla Chiesa riuscì a sviluppare, come già
aveva fatto in passato, una sorta di mappa dei nuovi boss, che chiamò rapporto
dei 162. Poi, iniziò una lunga scia di arresti, indagini, anche in
collaborazione con la Guardia di Finanza, che avevano come obiettivo quello di
appurare eventuali collusioni tra politica e Cosa Nostra.
Quello che accadde il 3
settembre è cosa nota.
All’epoca, ero poco più che
una bambina. Ricordo ancora quella sera. Erano, all’incirca, le 22:00. Ero con
mio fratello tranquillamente seduta sul divano di casa. Un grande appartamento,
situato al piano superiore dell’allora caserma dei carabinieri di Diamante, in
provincia di Cosenza. Mio padre era il comandante della stazione.
Ad un certo punto, la
televisione si è oscurata. “Edizione straordinaria del Tg”, titolava lo schermo.
Per la prima volta nella mia vita, un brivido inconsulto iniziò ad assalire il
mio corpo. Rimasi attonita davanti al televisore.
Immagini di morte assurda.
Quella A112, sulla quale viaggiavano il generale e sua moglie completamente
crivellata di colpi. Fotogrammi ancora nitide nella mia memoria. E poi, il
volto del mio papà. La sua espressione di amarezza, rabbia. Era come se la sua
divisa fosse intrisa di immenso dolore. Una divisa che ha onorato e che onoro
anch’io da figlia dell’Arma ‘’Ad maiora semper’’.
Nei giorni a seguire
rimanemmo incollati alla Tv per analizzare gli avvenimenti e un’altra frase che
mi colpì era quella scritta su un manifesto affisso il giorno dei funerali: “Qui
è morta la speranza dei palermitani onesti”. Una scritta che, allo stesso
tempo, era un grido di aiuto.
Negli anni a seguire, altro sangue
è stato versato in quella splendida terra di Sicilia, ma il tributo dei nostri ‘’Eroi’’
è servito per far crescere in noi un senso di legalità forte e concreto.
Cri...
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