Che cosa dobbiamo fare? Essere misericordiosi.
Nel nostro cammino di contemplazione del Signore veniente, anche in questa domenica incontriamo la bella testimonianza di Giovanni il battezzatore che, con la sua predicazione, prepara a chi lo desidera, la strada per incontrare Gesù. Cosa chiede Giovanni, mentre “evangelizzava il popolo”? Che cosa chiede nella sua predicazione? Non chiede di fare sacrifici o olocausti, di portarsi nel tempio per partecipare alle solenni liturgie, di fare particolari digiuni o di rispettare calendari liturgici, chiede gesti concreti di umanesimo.
Innanzitutto Giovanni afferma con decisione: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha e chi ha da mangiare faccia altrettanto”.
Cosa è necessario fare nell’attesa del Signore? Condividere il cibo, il vestito e la casa. Non lasciare che a nessuno manchi l’essenziale.
Chi fa questo è cambiato davvero, si è convertito, ha reimpostato la sua vita sulla condivisione in ragione dell’incontro con Gesù che viene.
Giovanni Battista ci stupisce perché non ci chiede di partecipare a novene o di compiere esercizi di pietà. Queste pratiche sono importanti nella misura in cui ci convertono alla Misericordia di Dio che ci rende capaci di mettere in gioco la nostra vita condividendola con gli altri.
Il “Vangelo” della III domenica di Avvento ci propone di uscire da noi stessi, dal nostro egoismo narcisistico e di provare gioia nel mettere a disposizione degli altri, soprattutto di coloro che sono impoveriti e fragili, quello che ciascuno ha e, aggiungerei, quello che ciascuno è.
Alcuni pubblicani e militari, categorie specifiche di persone che sono in mezzo alla folla, rivolgono al Battista la domanda: “Che cosa dobbiamo fare?”. Ai pubblicani, collaborazionisti con il potere romano ed esattori delle tasse, Giovanni chiede di svolgere il loro compito con giustizia e nella giustizia. Ai militari chiede di vivere l'esercizio militare rinunciando alla violenza. La proposta di conversione è molto concreta: è un cambiamento nella vita quotidiana che reimposta i rapporti interpersonali su autenticità, giustizia e non violenza.
La predicazione così concreta di Giovanni Battista, credibile perché testimoniata dal suo stile di vita, suscita nei suoi contemporanei la legittima domanda: “Chi è costui? E’ forse il profeta, è forse lui il messia atteso?”. Giovanni percepisce il rischio che venga identificato come il veniente messia e chiarisce: “Io sono solo uno che immerge nell’acqua, ma ecco, viene il più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi immergerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Straordinaria la testimonianza di Giovanni Battista. E’ un “uomo in uscita!”. Lui è soltanto il precursore e l’indicatore. La sua è una vita-narrazione che orienta a Gesù, la “misericordia” mandata sulla terra di cui l’uomo ha avuto e avrà sempre necessità.
Senza la misericordia non c’è futuro, non c’è vita! Senza la misericordia siamo condannati ad essere gettati in una disperazione senza uscita.
Il Giubileo Straordinario che Papa Francesco ha indetto come Anno di Grazia per tutta l’umanità è un tempo opportuno per lasciarci afferrare dalla Misericordia di Dio ed entrare in essa attraverso Gesù. E’ Gesù la Porta Santa.
Non basta attraversare la porta santa della Cattedrale di Cassano allo Ionio che abbiamo spalancato oggi, o del Santuario della Madonna del Castello che sarà aperta domenica prossima, o la porta del Santuario della Beata Vergine della Nova che sarà aperta venerdì prossimo. Dobbiamo incontrare Cristo, lasciarci abbracciare e avvolgere dalla sua misericordia nell’esperienza sacramentale della Riconciliazione, sacramento di gratuità ricevuta che va condivisa per diventare testimonianza.
E’ la misericordia che fa di noi delle persone completamente nuove.
E’ la misericordia che ci fa cogliere il senso delle nostre fragilità, del nostro peccato.
Senza di essa saremmo irrimediabilmente abbandonati ad un destino privo della gioia.
C’è un rischio che tutti corriamo in questo anno di grazia. Quello di pensare come il colonnello Aureliano Buendia, nel romanzo straordinario di Gabriel Garcia Marquez, “Cent’anni di solitudine”, che afferma: “E’ la prima volta che sento la parola Giubileo... Qualsiasi cosa voglia dire, non può essere che una beffa”.
Il Giubileo non è una beffa!
Il biblista don Antonio Pitta dice che il Giubileo non è una beffa quando andiamo incontro ad ogni forma di marginalità umana e sociale per sanarle, quando scegliamo la via della Grazia e non della vendetta, quando, come dice Papa Francesco, anteponiamo ad ogni giudizio, ad ogni pregiudizio e diffidenza o sospetto, l’esperienza della Misericordia, quando ci rendiamo conto che la Misericordia ci fa cogliere che c’è una miseria, una fragilità che ci accomuna.
La Misericordia, allora, è la grande rivoluzione perché ci fa scoprire che nessuno può sentirsi escluso.
Giovedì scorso nel Centro di Salute Mentale di Castrovillari, un' ammalata, Annina Camodeca (mi ha detto che potevo citarla) mi ha consegnato questo suo pensiero: “Nella follia della croce ho trovato risposta alle mie domande. La croce è puro amore! Perciò le nostre sofferenze le dobbiamo mettere nelle piaghe di Gesù. Amore vuol dire fare esperienza di perdono. Dove c’è peccato opera l’amore di Dio. L’amore è la cosa più bella che un essere umano possa concepire. L’amore è tutto, è la chiave della vita che ti apre le porte del Paradiso”.
Che positiva esperienza di misericordia ho condiviso con i fratelli e le sorelle segnati dal “male oscuro della mente”.
Ancora una volta, ho sperimentato che le parole con cui possiamo declinare la Misericordia sono "accoglienza" e "inclusione".
Attiviamo, dunque, in questo anno di grazia prassi di accoglienza e di inclusione nei 22 comuni che compongono la nostra Chiesa locale.
Il criterio di verifica che il nostro Giubileo non sarà stato una beffa, sarà basato proprio sulla prassi dell’inclusione.
Ed è per questo che mi permetto di indicare a tutti che oltre a varcare le tre Porte Sante delle nostre chiese giubilari, indico nel Carcere di Castrovillari (Martedì 15 p.v. sarà aperta la Porta Santa), nel Cementificio sempre di Castrovillari, negli ospedali e in ogni centro sanitario, in ogni struttura di accoglienza e di residenza degli anziani, dei diversamente abili di ogni tipo, e nelle strutture Sprar di accoglienza dei fratelli e sorelle immigrati (a Cassano, a Trebisacce e a Cerchiara) le porte sante esistenziali della nostra Diocesi.
Solo se metteremo insieme le porte sante delle Chiese individuate e le porte sante di queste strutture che accolgono fratelli e sorelle fragili, se metteremo insieme conversione a Cristo e conversione ai fratelli più fragili, il Giubileo della Misericordia sarà per noi veramente un tempo di grazia.
“Vogliamo gioire pienamente e unicamente in te, o Signore,
perché sei venuto e sempre vieni a portare la lieta notizia
che ci libera dall’angoscia e ci infonde consolazione.
Tu, eterno Signore del tempo,
sempre ci doni un “anno di misericordia”
e ci fai varcare la porta della speranza.
Vogliamo gioire in Te e renderti grazie
Perché hai versato balsamo di consolazione sulle nostre ferite
e, spogliati delle nostre misere vesti,
ci hai avvolti nel manto della tua santità,
nella tua consolatrice bellezza.” (Anna Maria Canopi, monaca)
Don Francesco Savino
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