Propongo volentieri questo pezzo, nella consapevolezza che è l'impegno e la passione per la verità che portano a prevenire determinati fenomeni.
"La repressione è la prima risposta al terrorismo ma è estremamente parziale poiché occorre impegnarsi parimenti nella prevenzione culturale e sociologica. A tal riguardo, sono centrali l’impegno nelle scuole, dove la presenza musulmana è destinata a crescere nei prossimi anni, nelle carceri, dove trecento persone attualmente sono monitorate poiché a rischio radicalizzazione, e nel web dove è più facile diffondere messaggi fondamentalisti"
E' quanto ha affermato Stefano Dambruoso, magistrato della procura di Bologna e Questore della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018, nell'ambito del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. .
“Abbiamo realizzato una normativa efficace per contrastare il terrorismo - ha affermato - in controtendenza con le leggi italiane che sono, a volte, poco chiare anche perché frutto di mediazioni ardite e perché a votarle sono parlamentari che, in gran parte, non hanno mai esercitato un lavoro nelle Istituzioni durante la loro vita”.
Per Dambruoso, “la sicurezza va intesa come interesse prioritario del Paese. Per realizzarla, occorre il concorso di tutte le istituzioni dello Stato: dall’intelligence alla magistratura alle forze di polizia. In particolare, l’intelligence offre decisivi e fondamentali spunti informativi, come si è visto nella guerra fredda e nel contrasto al terrorismo politico nel nostro Paese”.
Nell’occasione, Stefano Dambruoso ha evidenziato due episodi che hanno però incrinato la fiducia nell’attività dei Servizi: Piazza Fontana con la conseguente strategia della tensione e il controverso caso del sequestro dell’imam egiziano Abu Omar. Il docente, ha, poi, ricordato che “in diciotto anni non ci sono stati attentati terroristici in Italia, a conferma che l’Intelligence sta facendo un lavoro sano, combattendo il fenomeno del terrorismo con le armi dello stato di diritto”.
Per il magistrato l’attentato nel gennaio del 2015 alla redazione del giornale satirico parigino “Charlie Hebdo” ha messo in luce una trasformazione profonda del terrorismo fondamentalista, che è diventato personalizzato e destrutturato ponendo la necessità di confrontarsi con un fenomeno completamente diverso. “In Italia - ha proseguito - è stata prodotta una legislazione forte, di natura prevalentemente repressiva forse con qualche profilo al limite del principio costituzionale dell’offensività, in quanto viene punita anche la sola volontà di aderire alle organizzazioni terroristiche, la cui identificazione giuridica non è semplice.
Le norme principali sono contenute nel Decreto Legge 7/2015 e nella Legge 153/2016 che ha ratificato numerosi trattati internazionali. In questa normativa si affrontano i temi dei foreign fighter e particolare attenzione viene riservata alle attività svolte su internet, così come alle intercettazioni preventive, mentre è stata anche creata una black list dei siti pericolosi.
Inoltre, fondamentale ed efficace risulta la possibilità di espulsione dal territorio nazionale per motivi di terrorismo. Sono stati previsti anche colloqui investigativi con detenuti da parte dell’intelligence e istituita la Direzione nazionale antiterrorismo, estendendo la competenza dell’attuale Direzione nazionale antimafia, voluta da Giovanni Falcone per combattere più efficacemente la mafia.
Le norme approvate, prevedono pene da 5 a 8 anni per chi viene arruolato, la perdita della patria potestà “Abbiamo realizzato una normativa efficace per contrastare il terrorismo in controtendenza con le leggi italiane che sono a volte poco chiare anche perché frutto di mediazioni ardite e perché a votarle sono parlamentari che in gran parte non hanno mai esercitato un lavoro nelle Istituzioni durante la loro vita”. Così Stefano Dambruoso, magistrato della procura di Bologna e Questore della Camera dei Deputati dal 2013 al 2018 al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. Per Dambruoso, “la sicurezza va intesa come interesse prioritario del Paese e per realizzarla occorre il concorso di tutte le istituzioni dello Stato: dall’intelligence alla magistratura alle forze di polizia. In particolare, l’intelligence offre decisivi spunti informativi che sono fondamentali, come si è visto nella guerra fredda e nel contrasto al terrorismo politico nel nostro Paese”. Nell’occasione, ha evidenziato due episodi che hanno però incrinato la fiducia nell’attività dei Servizi: Piazza Fontana con la conseguente strategia della tensione e il controverso caso del sequestro dell’imam egiziano Abu Omar. Il docente ha poi ricordato che “in diciotto anni non ci sono stati attentati terroristici in Italia, a conferma che l’Intelligence sta facendo un lavoro sano combattendo il fenomeno del terrorismo con le armi dello stato di diritto”. Per il magistrato l’attentato nel gennaio del 2015 alla redazione del giornale satirico parigino “Charlie Hebdo” ha messo in luce una trasformazione profonda del terrorismo fondamentalista, che è diventato personalizzato e destrutturato ponendo la necessità di confrontarsi con un fenomeno completamente diverso. “In Italia - ha proseguito - è stata prodotta una legislazione forte, di natura prevalentemente repressiva forse con qualche profilo al limite del principio costituzionale dell’offensivita”, in quanto viene punita anche la sola volontà di aderire alle organizzazioni terroristiche, la cui identificazione giuridica non è semplice. Le norme principali sono contenute nel Decreto Legge 7/2015 e nella Legge 153/2016 che ha ratificato numerosi trattati internazionali. In questa normativa si affrontano i temi dei foreign fighter e particolare attenzione viene riservata alle attività svolte su internet, così come alle intercettazioni preventive mentre è stata anche creata una black list dei siti pericolosi. Inoltre fondamentale ed efficace risulta la possibilità di espulsione dal territorio nazionale per motivi di terrorismo. Sono pure stati previsti colloqui investigativi con detenuti da parte dell’intelligence e sopratutto è stata istituita la Direzione Nazionale Antiterrorismo, estendendo la competenza dell’attuale DNA voluta da Giovanni Falcone per combattere più efficacemente la mafia. Le norme approvate prevedono pene da 5 a 8 anni per chi viene arruolato, la perdita della patria potestà quando è coinvolto un minore, condanne a chi organizza un viaggio all’estero per finalità di terrorismo e per chi fornisce istruzioni per preparare armi esplosive o le detiene abusivamente”.
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