La visita del Santo Padre
alla Sinagoga di Roma. Un evento storico. Papa Francesco è stato il terzo
pontefice a varcare la soglia del tempio maggiore della capitale, La casa dei
nostri fratelli maggiori nella fede. "Voi siete i nostri
fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede - ha dichiarato papa
Francesco rivolgendosi alla comunità ebraica durante il suo discorso -. Tutti quanti apparteniamo ad un'unica famiglia, la
famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Il Concilio, con la
Dichiarazione Nostra aetate, ha tracciato la via: 'sì' alla riscoperta delle
radici ebraiche del cristianesimo. No ad ogni forma di antisemitismo, e
condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne
derivano. Né la violenza né la morte avranno mai l'ultima parola
davanti a Dio, che è il Dio dell'amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con
insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio
Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della
riconciliazione, del perdono, della vita".
Un incontro fortemente
voluto, ricco di contenuti. Un pomeriggio, quello di domenica scorsa, che ha
unito due fedi accumunate dall’amore verso il prossimo.
Intenso il discorso della
presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, secondo la quale "la
pace non si conquista con i coltelli in mano, scavando tunnel, lanciando
missili”.
“Sono emozionata – ha affermato
- nel dare il benvenuto mio, e di tutta la comunità Ebraica di Roma a Lei,
papa Francesco, terzo Pontefice a varcare la soglia del nostro Tempio Maggiore
la cui distanza da San Pietro, seppur breve, è sembrata per secoli
incolmabile. L'incontro odierno – ha continuato Ruth Dureghello - dimostra che il dialogo tra le grandi fedi è
possibile, un impegno volto a garantire accoglienza, pace e libertà per ogni
essere umano. Questo impegno comune si è concretizzato, per la prima volta, il
13 aprile 1986 con la storica visita di un papa in questa Sinagoga. Se oggi
siamo qui è grazie a due grandi del nostro tempo e soprattutto grazie al loro
coraggio: Giovanni Paolo II ed Elio Toaff zl. Che la loro memoria sia di
benedizione. Il 17 Gennaio del 2010, quel gesto si è rinnovato dando il segno
della continuità dei rapporti di amicizia tra le due sponde del Tevere, ed è
per questo che un caloroso saluto voglio indirizzarlo al papa Emerito Benedetto
XVI. Oggi scriviamo ancora una volta la storia. Più di mezzo secolo fa,
incontri come quello al quale partecipiamo oggi sarebbero stati difficili da
immaginare. Il Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XIII, concepì la
dichiarazione Nostra Aetate, aprendo le porte di un nuovo percorso all'insegna
del dialogo. Percorso che, a 50 anni di distanza, continua con la produzione di
nuovi documenti, anche grazie alla Commissione Vaticana per i Rapporti con
l’Ebraismo. La Sua visita – prosegue la presidente della comunità ebraica di
Roma - non porta con sé il segno dei ritualismi. È una tappa importante, in
un momento delicato in cui le religioni devono rivendicare uno spazio nella
discussione pubblica per contribuire alla crescita morale e civile della
società. Mi sento di poter dire che ebrei e cattolici, a partire da Roma,
debbono sforzarsi di trovare assieme soluzioni condivise per combattere i mali
del nostro tempo. Abbiamo la responsabilità di rendere il mondo in cui viviamo
un posto migliore per i nostri figli. Come sappiamo, Roma ha un ruolo
universale. Gli ebrei sono qui da ormai 22 secoli.
La nostra Comunità, che ha
vissuto una storia straordinaria di sopravvivenza dell'identità nonostante le
discriminazioni e le persecuzioni, è una comunità vivace, attiva e complessa.In
questa Sinagoga, simbolo dell'emancipazione politica della nostra Comunità,
dopo la segregazione perdurata per quasi quattrocento anni, sono oggi presenti
le tante espressioni dell'ebraismo romano, italiano e internazionale.
Gli Enti
Ebraici, sono istituzioni con radici antiche e tradizioni solide che
rappresentano un ebraismo impegnato, nei secoli, al sostegno dei bisognosi,
alla cura dei malati e degli anziani e, soprattutto, all'educazione dei figli e
delle nuove generazioni. Persone, nella stragrande maggioranza volontari, che
lavorano ogni giorno silenziosamente, con o senza ruoli ufficiali, per tenere
viva una Comunità che è il mio più grande orgoglio ed è un grande orgoglio
per tutta la città. Lei, papa Francesco, ha dimostrato da sempre un'amicizia
con il mondo ebraico.
Dall'Argentina ha portato con sé un bagaglio di rapporti
saldi con l'Ebraismo, ribaditi fin dai primi atti del suo pontificato. Voglio
ricordare due momenti in cui mi sono sentita particolarmente toccata dalle sue
parole. Il primo, quando, durante la visita della delegazione di questa
Comunità in Vaticano, l'11 ottobre del 2013, al quale ho avuto l'onore di
partecipare, Lei si è rivolto al nostro Rabbino Capo dicendo che "un
cristiano non può essere antisemita. L'antisemitismo sia bandito dal cuore e
dalla vita di ogni uomo e di ogni donna". Il secondo, quando incontrando
poche settimane fa il Presidente del World Jewish Congress, ha detto che
"attaccare gli ebrei è antisemitismo, ma anche un attacco deliberato a
Israele è antisemitismo". Lo ribadisco perché questa Comunità, come
tutte le comunità ebraiche nel mondo, ha un rapporto identitario con Israele.
Siamo italiani, profondamente orgogliosi di esserlo e allo stesso tempo siamo
parte del Popolo di Israele. È attraverso le sue parole che riaffermo con
forza che l'antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo.
Il Suo
viaggio in Israele, e nella sua capitale Gerusalemme, è stato un atto per noi
importante. Anche in quell'occasione Lei ha usato parole di profondo rispetto per
lo Stato Ebraico auspicando che possa vivere in pace e sicurezza. Per vedere
tutto questo realizzato, dobbiamo ricordare che la pace non si conquista
seminando il terrore con i coltelli in mano, non si conquista versando sangue
nelle strade di Gerusalemme, di Tel Aviv, di Ytamar, di Beth Shemesh e di
Sderot. Non si conquista scavando tunnel, non si conquista lanciando missili.
Possiamo affrontare un processo di pace contando i morti del terrorismo? No.
Tutti noi dobbiamo dire al terrorismo di fermarsi. Non solo al terrorismo di
Madrid, di Londra, di Bruxelles e di Parigi, ma anche a quello che colpisce
ormai tutti i giorni Israele. Il terrorismo non ha mai giustificazione.
La
lezione dell'odio che porta solo morte è davanti agli occhi di tutti. Lo insegna
la storia recente e quella meno recente. Lo ha visto Lei con i suoi occhi a
Buenos Aires che ha conosciuto il terrore antisemita il 18 luglio del 1994:
ottantacinque morti e oltre duecento feriti. Molti si chiedono se il terrorismo
islamico colpirà mai Roma. Signori, Roma è già stata colpita. Un solo nome:
Stefano Gaj Taché z.l, due anni, 9 ottobre 1982, ucciso da un commando di
terroristi palestinesi. Ringrazio il Presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, per aver onorato la memoria del piccolo Stefano ricordandolo nel
suo discorso d'insediamento a Camere riunite e il Presidente Giorgio Napolitano
per averlo inserito tra le vittime italiane del terrorismo. L'odio che nasce
dal razzismo e trova il suo fondamento nel pregiudizio o peggio usa le parole
ed il nome di Dio per uccidere, merita sempre il nostro sdegno e la nostra fede
una condanna. Papa Francesco, oggi abbiamo una grande responsabilità di fronte
al mondo.
Di fronte al sangue sparso dal terrore in Europa e in Medio Oriente,
di fronte al sangue dei cristiani perseguitati e agli attentati perpetrati
contro civili inermi anche all'interno dello stesso mondo arabo, di fronte agli
orrendi crimini compiuti contro le donne. Non possiamo essere spettatori. Non
possiamo restare indifferenti. Non possiamo cadere negli stessi errori del
passato, fatto di silenzi assordanti e teste voltate. Uomini e donne che
rimasero immobili davanti a vagoni stipati di ebrei spediti nei forni
crematori. Eccoli, oggi in prima fila i nostri sopravvissuti alla tragedia
della Shoah a ricordarci che la Memoria non è un esercizio di
auto-consolazione per riparare agli orrori commessi.
La Memoria del più grande
genocidio della Storia dell'Uomo la teniamo viva affinché nulla di simile
possa ripetersi. Questo il nostro impegno più grande per il futuro e per le
nuove generazioni. Con questa visita Ebrei e Cattolici lanciano oggi un
messaggio nuovo rispetto alle tragedie che hanno riempito le cronache degli
ultimi mesi.
La Fede non genera odio, la Fede non sparge sangue, la Fede
richiama al dialogo. Una convivenza ispirata all'accoglienza, alla pace e alla
libertà in cui si impari a rispettare, ciascuno con la propria identità,
l'altro. Come oggi qui a Roma, così in ogni luogo. Siamo certi che questa
consapevolezza, che non appartiene esclusivamente alle nostre religioni, possa
trovare la collaborazione anche dell'Islam. La nostra speranza è che questo
messaggio giunga ai tanti Musulmani che condividono con noi la responsabilità
di migliorare il mondo in cui viviamo. Insieme possiamo farcela".
Shalom papa Francesco,
Shalom a tutti voi.
Nessun commento:
Posta un commento