Nel terzo millennio sono ancora 31 milioni le bimbe, nel     mondo, per le quali non si aprono le porte degli istituti     scolastici.         Un dato, quello reso noto dall’Unicef, che allarma, e non     poco, l’opinione pubblica dei Paesi che possono e devono     intervenire per sopperire a questa carenza.         L’istruzione è fondamentale. 
Bisogna impegnarsi a     diffondere la cultura basilare, diritto di ognuno, senza     distinzioni.         Ed è proprio quello che fa l’United Nations Children's Fund,     agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza     umanitaria per i bambini e le loro madri in tutto il mondo,     principalmente nei paesi in via di sviluppo. 
Nei giorni scorsi, si è tenuta una lodevole iniziativa     che ha coinvolto anche il mondo della musica per la Giornata     internazionale delle bambine, istituita dall’Onu per mettere     in evidenza tutti gli obiettivi e le sfide che le giovani donne     devono perseguire per veder riconosciuti i propri diritti.         Un avvenimento importante e ricco di significato per chiedere     più attenzione, da parte del mondo della scuola, verso le     piccole donne. 
A tal fine, è scesa in campo la cantante americana     Katy Perry,     pronta a mobilitarsi per la campagna contro i soprusi sui bimbi.            Nell’ambito di una manifestazione, la Perry ha visitato la     scuola di Ampihaonana e ha fatto sentire la sua voce nel web,     con il video         “Hear Katy Perry roar for International Day of the Girl Child”     che ha mostrato le bimbe malgasce, sul sottofondo del singolo “Roar”,     ruggito, l’ultima hit di successo della popstar     californiana, usata come claim della campagna di     sensibilizzazione.         
Una piccola goccia concreta, immersa in un universo,     contornato dalla tenerezza di quegli occhi grandi delle bimbe     che non chiedono altro che un aiuto concreto per evolversi.            Se solo avessero la possibilità di andare a scuola non     andrebbero a nozze quasi in fasce, solo per usare un     eufemismo. Se solo potessero studiare, riuscirebbero a giocare     con le bambole, cosa che fanno le loro coetanee, avrebbero     opportunità diverse e non si ammalerebbero gravemente ogni     giorno. 
Ma, ancora oggi, nel mondo, ci sono milioni di bambine che non     frequentano la scuola primaria e alle quali viene preclusa ogni     attività ludica. In più, sempre secondo i dati Unicef, 34     milioni non vanno al di là dell’istruzione di base. 
Percentuali drammatiche che fanno pensare che agire, e subito,     sia sinonimo di civiltà. In molte Nazioni esistono     programmi di assistenza e tutoraggio per le piccole, ma molto     altro c’è da fare per farle tornare a gioire e a vivere la loro     infanzia in condizioni consone al loro essere.
Maria Cristina Saullo

 
 
 
 
 
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