Sono giorni che scrivo e
cancello i miei pensieri. Scrivo e ripenso. Ripenso, scrivo e, poi, cancello
tutto. Vorrei tanto dimenticare quelle immagini, ma non ci riesco. Vorrei tanto
si fosse trattato solo di un incubo, ma la realtà è, ahimè, un’altra.
In questa campagna
elettorale, la più brutta della storia per mia memoria, e nella quale non entro,
volutamente, nel merito, è entrata come un fulmine una notizia che mi ha fatto
accapponare la pelle.
Le immagini di un’insegnante,
badiamo bene, un’educatrice dei nostri figli, dei nostri nipoti, che augura la
morte ai poliziotti e che inveisce contro la divisa, esternando le frasi più
assurde, ha dell’incredibile.
Un docente dovrebbe insegnare
la non violenza. Dovrebbe educare i piccoli al bene, alla pace al rispetto per
le forze dell’ordine. Non ho visto tutto ciò in quelle immagini. Ho percepito
solo rabbia, odio e disprezzo.
In un altro post, pubblicato
nelle settimane scorse, riferendomi al ferimento di un carabiniere, durante una
manifestazione, ho parlato di mancanza di rispetto, di cultura storica.
Ma come
si può oltraggiare una divisa? Come si può deridere e schernire uomini e donne
che lavorano, operano, vivono e indossano quegli abiti tutti i giorni per
proteggerci?
Qualcuno potrà dirmi che
sono di parte. Si.... lo sono.
Sono figlia dell’arma e me ne vanto. Ho rischiato di
perdere mio padre in servizio. So cosa vuol dire aspettare che torni a casa
dopo una giornata di lavoro insieme ai suoi ‘’Angeli’’, (così amavo chiamarli
da piccola).
So quanta abnegazione,
quanto lavoro e quante nottate hanno portato lontano il mio papà da tutti noi.
Nonostante ciò l’ho sempre ammirato e continuo a farlo con abnegazione e amore
filiale.
Cara
professoressa (adesso parlo io in prima persona) sotto quella divisa da lei tanto
disprezzata ci sono uomini e donne che operano con sacrifici e immensa
passione, amore e umiltà verso i più deboli.
Nei giorni scorsi, ho letto
due lettere. Mi sono immedesimata in questi due ragazzi. Ve le ripropongo, nell’auspicio
che si capisca, finalmente, che non si può più oltrepassare il limite. Ci vuole
rispetto nelle parole e nei fatti!
Il primo scritto è di
Michele Fezzuoglio. Nel 2006, aveva solo sei mesi quando il padre Donato,
Carabiniere Scelto, fu ucciso nel tentativo di sventare una rapina. Il piccolo,
venuto a conoscenza dell’augurio di morte rivolto da un’insegnante di Torino
alle forze dell’ordine, ha scelto di rispondere con una lettera pubblica.
“Buonasera
prof, mi chiamo Michele, non le nascondo che sono un po’ arrabbiato con lei.
Oggi le faccio conoscere qualcosa di me e del posto dove vivo. Mi stringa forte
la mano, ci troviamo ad Umbertide esattamente in via Andreani, si guardi
intorno, osservi com’è tranquilla la cittadina. 12 anni fa alla sua destra
c’era una banca, scattò l’allarme per rapina, arrivò la pattuglia del 112, i
due carabinieri corsero in aiuto a cittadini in pericolo. Alcuni rapinatori
rimasti fuori spararono alle spalle di papà e morì. Mi stringa la mano e si
guardi intorno, li c’è una targa con delle corone, lì invece una fioriera
voluta da tanta gente di cuore con disegnato il tricolore. Venga andiamo in via
xxxxxxx, in questa casa ci abito con la mamma, la osservi, sopra quel mobile
c’è un berretto, lo stesso che era sopra la bara avvolta nel tricolore il
giorno del funerale di mio padre, guardi quante foto, attestati ed encomi, sono
tutti di mio padre, li ha ricevuti sia in vita che dopo. Senta anche che
silenzio, se ci fosse stato papà sarebbe stata una casa rumorosa, avrei avuto
un fratello o una sorella o entrambi. Venga prof, le faccio vedere dove dormiva
mio padre, il suo armadio, le sue cose. Guardi queste scatole, sono piene di
lettere, scritte da tanti Italiani per dimostrare affetto a mio padre, all’Arma
dei Carabinieri alla mia famiglia, ma soprattutto a me che allora avevo solo 6
mesi. Ora la porto nella mia seconda casa. Ci dobbiamo spostare di qualche
chilometro, nella zona dove abitano i miei nonni materni. Mio padre diceva che
in quei posti c’era pace. Intanto lei osservi quanto è bella la mia Umbria.
Siamo arrivati, si è resa conto che siamo in un cimitero? Eccola la mia seconda
casa. Ora le racconto alcuni episodi, avevo 4 anni e mezzo quando ho imparato a
leggere i nomi scritti in stampatello sulle lapidi dei defunti. Qui sono
arrivato in bici per mostrarla a mio padre, ancora, le dirò di quando sono
entrato con 2 papere, con il cane, ho portato disegni e oltre i fiori porto
regali. Prof ora le chiedo di poggiare la sua mano su questa tomba, pensi il
freddo delle mie labbra quando bacio papà. Quante cose avrei da raccontarle
prof, faccio tanti chilometri in giro per l’Italia per parlare di lui, faccio
tanto fatica a scuola quando in alcuni periodi sento di più la sua assenza,
fortuna i suoi colleghi insegnanti capiscono quell’alunno che a volte si
distrae per non piangere o che ride per soffocare un brutto pensiero. Basta
prof, la lascio tornare a casa, nel tragitto rifletta della lezione noiosa.
Quando è arrivata guardi negli occhi suo padre e lo abbracci….Intanto io scrivo
al Ministro, non per farla punire, ma per darle dei consigli. Vorrei mai più
manifestazioni che incitano violenza, chi parla dovrebbe evitare parole che
uccidono quanto quel proiettile di kalashnikov sparato alle spalle di quel
carabiniere che per me voleva un mondo a colori…. Arrivederci prof…Buon rientro”.
L’altra missiva è stata
scritta da una ragazza, figlia di un poliziotto.
“Cara
professoressa, ti parla la figlia di un appartenente alle forze dell'ordine. Tu
che gli urli "dovete morire", vedi ogni volta che mio padre si
allaccia gli anfibi e si chiude il cinturone ho davvero paura che qualcuno lo
faccia morire. Forse tu non sai cosa vuol dire. Tu non sai cosa vuol dire
vivere di turni, vivere di imprevisti, di compleanni in cui nelle foto ci sono
tutti: tranne lui. Del pranzo di Natale che diventava freddo a forza di
aspettarlo. Del cuscino vuoto accanto a mia madre. Del freddo, del sonno, del
sangue sulla strada, degli insulti che gente come te ogni giorno rivolge a chi
indossa una divisa. Cara professoressa, hai mai provato ad accarezzare la
stoffa della giacca di un poliziotto o di un carabiniere? Sai non è di un
cotone morbido, non è il lusso che tutti credono che lo Stato regali a quegli
uomini e a quelle donne in divisa. Cara professoressa, tu sai che mentre
auguravi a quei ragazzi la morte a casa c'erano i loro bambini che si erano
appena addormentati che si aspettavano di vedere i loro papà il giorno dopo
come tutti i giorni? Lo sai che c'erano madri, fidanzate e mogli che in quel
preciso momento stavano pensando a loro? E stavano pensando se magari potevano
avere troppo freddo là fuori? Non sono dei mostri come li dipingete. Ma sono
persone. Le stesse persone che chiamate a tutte le ore se avete bisogno di
aiuto, e loro anche se voi gli augurate le morte vengono ad aiutarvi: perché
hanno giurato di esserci, e quella divisa che tanto odiate rappresenta anche
questo. C'è chi della propria divisa ne fa un abuso, come ovunque c'è la mela
marcia e sono concorde nel punirlo adeguatamente secondo le leggi, ma non per
questo bisogna augurare il male a tutti coloro che indossano una divisa. Perché
io nonostante tutto non auguro del male a nessuno e mai lo farò, perché mi
hanno insegnato il rispetto per la vita di tutti. Così, cara prof, ora vai e
guarda negli occhi tuo padre e tuo marito/compagno/ fidanzato che sia (se ne
hai uno), guardali negli occhi e cerca solo di immaginare cosa si possa
provare: a sapere che tanta gente come te augura la morte a quegli uomini che
per noi sono la vita”.
È vero. Si tratta di uomini,
i nostri padri, che per noi sono la vita. Ci hanno generato e insegnato cosa vuol dire
il ‘’RISPETTO’’ per il prossimo, per le leggi dello Stato, la Costituzione
italiana, la legalità e la ‘’DIVISA’’.
Grazie papà......
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